SOCIETÀ
  by  Published: venerdì 6 novembre 2020 12:17:05

Ricordo di Elisabetta Campus, attivista perugina per i diritti umani a sei anni dalla scomparsa

Cittadina del mondo d'adozione, il 12 novembre ne riccorre la prematura scomparsa

In momenti come questi, in cui la tensione razziale negli Stati Uniti assume dimensioni preoccupanti e i diritti umani vengono compressi in così tanti paesi nel mondo, persino nella nostra Europa, dedichiamo un momento a un personaggio che ci ha lasciato da qualche anno, una formica infaticabile, piuttosto schiva, il cui ricordo e la cui opera sono ancora ben presenti nella memoria di molti di noi: Elisabetta Campus, perugina di nascita e cittadina del mondo di adozione.
Proprio in questi giorni ne ricorre l’anniversario della morte, avvenuta prematuramente il 12 Novembre del 2014.
Elisabetta nasce il 6 Ottobre del 1960 da una mamma pittrice, nipote dello scultore Tito Orfei, e da un padre di origini sarde con un passato di pilota nell’aviazione militare durante l’ultimo conflitto. Ha un fratello, Gianni, medico presso il policlinico di Monteluce.
Segue gli studi classici e frequenta la sezione E del Liceo Annibale Mariotti. Dall’età di 16 anni canta come soprano nella Corale “Raffaele Casimiri” del Duomo, è religiosa ed é molto legata ad un sacerdote spagnolo dell’Amore Misericordioso di Colle Valenza.  Ama lo sport, pratica il nuoto acrobatico, il karate, lo sci. Completano i suoi interessi, il teatro, i viaggi e la musica, in particolare quella di Bob Dylan.
Dopo la laurea in giurisprudenza, accanto al lavoro, Elisabetta matura la sua grande passione: quella per l’impegno sociale a favore dei più deboli. Il suo interesse non è precoce, si matura col tempo verso i 30 anni, con l’adesione al Gruppo 45 di Perugia, associazione molto attiva durante gli anni ‘90, nella tutela dei diritti umani. Conseguente é anche  il suo ingresso nella sezione Umbria di Amnesty International.
Ed é qui che Elisabetta si esprime al meglio, divenendone l’animatrice e punto di riferimento a livello locale e ricoprendo quasi tutti i ruoli, fino a che, nel 2004, viene nominata responsabile per l’Umbria.  Parallelamente entra a far parte del Coordinamento Nord America ed Isole Caraibiche della Sezione Italiana di cui, nel 2010, diviene responsabile nazionale. 
Come é stato d’uso in Amnesty, ad occuparsi dei problemi di un paese sono spesso altri aderenti, residenti altrove, poiché meno “coinvolti”. Elisabetta prende molto sul serio quel compito, traduce denunce, raccoglie documentazione, organizza il suo lavoro con metodo, realizza archivi con cui supportare le campagne del movimento.
L’America la affascina, con le sue libertà, la sua democrazia, la sua società multirazziale, i suoi luoghi storici, che visita con metodo durante i molti viaggi, anche al fine di comprendere le radici di quel “Sogno Americano” da cui tanta gente però rimane esclusa. E’ per quest’ultima che decide di impegnarsi, in particolare per i nativi americani, ai quali si avvicina mantenendo costanti relazioni con una comunità del South Dakota, di stanza nella riserva di Rosebund a Mission.
Così rimprovera gli amici quando, come nei film western, si riferiscono a questi chiamandoli “Sioux”. Elisabetta specifica sempre che il loro vero nome é Lakota Sichangu, soprannominati dagli esploratori francesi “Brulé” (i bruciati). Essi non vanno mai chiamati Sioux perché sarebbe mancanza di rispetto, in quanto così venivano dispregiativamente nominati da una tribù nemica.
Quasi ogni anno Elisabetta si reca presso di loro, impegnandosi in un viaggio a dir poco complicato: volo da Roma, scalo ad Amsterdam, poi fino a Detroit, da cui prende un nuovo aereo per una remota città del South Dakota dalla quale però la sua meta dista ancora centinaia di miglia in auto…
 Arrivata laggiù, trascorre le sue “vacanze” scoprendo il loro mondo, le ricorrenze religiose, la loro cultura, la gente del luogo, tra cui  Duane Hollow Horn Bear, portavoce spirituale ed insegnante al Dipartimento degli Studi Lakota della Sinte Gleska University,  con cui organizza più di un viaggio in Italia per fare opera di sensibilizzazione a favore della “causa dei nativi”…
Le condanne a morte dei minori negli States sono l’altra piaga che Elisabetta si impegna a combattere con costanza e metodo, partecipando al Coordinamento Nazionale per la Tutela dei Minori di Amnesty, ma è la campagna per la chiusura del campo di prigionia di Guantanamo a  coinvolgerla maggiormente.
E’ l’ultima sua battaglia, in cui si adopera senza risparmio, contro quell’opera, indegna di un’America che, nonostante tutto, si dichiara paladina dei diritti umani e si propone di “esportarli” nel resto del mondo.
Elisabetta é il prototipo dell’attivista amnistiano, schiva, modesta, non alza mai la voce per far valere le proprie ragioni, ma è ferma nelle proprie convinzioni, cercando soluzioni e non divisioni, in vista di una composizione condivisa dei problemi.
A testimonianza della sua attività, ci lascia una notevole quantità di documenti, raccolti in un archivio prevalentemente informatico, organizzato con metodo e razionalità, oggi ricompreso all’interno del Centro di Documentazione per i Diritti Umani a lei dedicato, assieme al materiale di Amnesty International e del Gruppo 45, presso la Biblioteca di San Matteo degli Armeni in Perugia. E’ presente anche il carteggio inerente il  Campo di Prigionia di Guantanamo, una volta riservato ed oggi a disposizione di studiosi e tesisti.
Con provvedimento del 14 Gennaio 2016, la Soprintendenza Archivistica dell’Umbria e delle Marche, ha dichiarato tutta la documentazione, di interesse storico particolarmente importante.


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